
Tu che sei di me la miglior parte
“Tu lo sai come finirà, vero?” mi sorrise, e non poteva esistere al mondo un’altra ragazza bella com’era lei in quell’istante preciso.
“Non lo sa nessuno, come finirà” diedi voce alla speranza. “Il futuro è ancora da scrivere.”
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Potrei sintetizzare questo mese di giugno ormai prossimo alla fine con una parola: nostalgia. Non pensate però a un momento di tristezza, a rimpianti o situazioni che fanno venire gli occhi lucidi, perché è esattamente il contrario: sono tornata con gioia a moltissimi anni fa, all’epoca della mia vita in cui tutto era ancora possibile, e mi sono ricordata com’ero quando ogni cosa aveva il sapore delle prime volte.
Il principale responsabile di questo mio perdermi tra le pagine del passato ha un nome e un cognome: Enrico Brizzi, che quando ero ragazzina mi conquistò – ma dovrei dire ci conquistò tutti – con il suo esordio, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, libro cult della mia generazione, e che è tornato in libreria con un nuovo romanzo che ci riporta proprio a quelle atmosfere. Tu che sei di me la miglior parte, uscito in libreria lo scorso 29 maggio per Mondadori, racconta la storia di Tommy, dall’infanzia agli anni della scuola, in una Bologna che è proprio quella che l’autore ci ha fatto respirare nel suo primo romanzo.
L’estate moriva ancora una volta nei tramonti precoci di settembre. La tradivamo noi per primi, rivolti all’avvenire immediato di libri scolastici da acquistare, abbonamenti allo stadio da acquistare e profumate consolazioni in grado di traghettarci attraverso l’autunno, anche quelle da acquistare.
Gli ingredienti della tarda infanzia e dell’adolescenza ci sono veramente tutti, da una serie di oggetti tipici degli anni ’80 e ’90 – il Jolly Invicta, Burghy, il quaderno di Cattivik, le Vans a quadretti bianchi e neri, i Levi’s 501, il Seven, le TDK da 46 minuti, le Doctor Martens, il cioè – alla colonia estiva con la parrocchia, dalle domeniche allo stadio alle band giovanili, dalle prime canne al sogno numero uno di tutti gli adolescenti, il motorino:
La verità era che sognavo di avere anch’io una Vespa. Per mia madre era un tabù, ché il professor Shiba era morto in un incidente stradale. Proprio non capiva la situazione, lei. Ero un liceale fidanzato, un giovane ultras e una figura-chiave nell’entourage di una band emergente; nei miei panni, non era più accettabile presentarsi ai rendez-vous ansimanti e accaldati in sella alla Legnano.
Man mano che la narrazione procede, il campo si restringe a quelli che sono i tre personaggi principali: oltre a Tommy, Raul, il suo “peggiore amico”, classica figura di ragazzo un po’ più grande, figo – io sarei stata sicuramente innamorata persa di lui – e per questo ammirato, ma anche oscuro e catalizzatore di esperienze negative, ed Ester, una ragazza per tanti versi sfuggente eppure matura, emancipata, moderna, dotata di un’intelligenza sottile che, unita alla bellezza, fa chiaramente capitolare sia Tommy che Raul, che se la contendono dall’inizio alla fine al romanzo.
Non si può poi fare a meno di notare, tra i tanti personaggi che popolano queste pagine, un certo Alex:
… mi trovai di fronte all’ex bassista Alex con addosso una maglietta dei Clash, i calzoni scozzesi e un assurdo paio di Tricker’s gialle che facevano pensare alle scarpe di Topolino. Adesso che non usciva più con la flirteuse Valentina, pativa il mal d’amore per una certa Adelaide, una ragazza a modo di I C dalle superbe tette reggae.
Sì, è proprio Alex di Jack Frusciante, e nel momento in cui i miei sospetti che ci fosse anche lui in questa storia, seppure solo come comparsa, hanno trovato conferma, mi si è letteralmente riempito il cuore di gioia: Brizzi ha avuto la geniale idea di raccontarci esattamente quel mondo, quell’epoca, quella Bologna, con gli occhi di un protagonista contemporaneo di Alex, quasi a volerci ricordare che ogni storia contiene sempre molte storie e che mentre Alex si arrovellava per Adelaide detta Aidi – e lo sapevamo già nel 1994 – nel frattempo c’era anche Tommy, entrato in fissa con una certa Ester, che pativa grosso modo le stesse pene:
Ester mi veniva incontro con passo leggero, a ritmo col respiro del mondo, e mi sentii un verme per essermi riproposto di detestarla… Era come racchiudesse in sé la forza invincibile delle cose all’inizio.
Tu che sei di me la miglior parte è un romanzo molto denso – si tratta di oltre cinquecento pagine – che racconta una storia nella quale il lettore non può fare altro che immergersi completamente, un po’ con la curiosità di arrivare alla fine e un po’ con la speranza che quello che sta leggendo non finisca mai. Girando le pagine sembra di sentire l’eco dell’accento bolognese – Brizzi è bravissimo a colorire l’italiano con espressioni tipiche della sua città e di quell’età che gli viene tanto bene raccontare, dimostrando ancora una volta di essere perfettamente padrone della scrittura. Se questo romanzo mi ha fatto venire una nostalgia incredibile del mio liceo Caimani – il mitico Siotto-Pintor di Cagliari – è perché in questa storia c’è tutto, fuorché la malinconia. Soprattutto ci siamo noi, ragazzi degli anni ’80 e ’90 e, in fondo, ragazzi sempre.
“Ci faremo male, noi due” pronosticò.
“Quella tenebra improvvisa ci angoscia” andò avanti. “Spaventati come siamo, rischiamo di scambiarla per la fine. Ma non è così.”
Posò sulla mia guancia un bacio leggero e disse: “È solo il futuro che arriva.”