
Riparare i viventi
Cosa sia questo cuore umano, dall’istante in cui ha cominciato a battere più forte, alla nascita, quando altri cuori là intorno acceleravano a loro volta salutando l’evento, che cosa sia questo cuore, cosa l’abbia fatto balzare, vomitare, crescere, danzare in un valzer leggero come una piuma, o pesare come un macigno, cosa l’abbia stordito, cosa l’abbia fatto struggere – l’amore; che cosa sia il cuore di Simon Limbres, che cosa abbia filtrato, registrato, archiviato, scatola nera di un corpo di vent’anni, nessuno lo sa davvero, soltanto un’immagine in movimento creata da ultrasuoni potrebbe restituirne l’eco, mostrare la gioia che dilata e la tristezza che contrae… solo quella linea potrebbe raccontarlo, delinearle la vita, vita di flussi e riflussi, vita di valvole che si aprono e che si chiudono, vita di pulsazioni, nel momento in cui il cuore di Simon Limbres, quel cuore umano, proprio quello, sfugge alle macchine, nessuno potrebbe sostenere di conoscerlo…
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Il cuore di Simon – un pancino tondo che si solleva piano in fondo a un lettino da campeggio; l’uccello dei terrori notturni spaventato nel petto di bambino; il tamburo staccato all’unisono con la sorte di Anakin Skywalker; il brivido sottopelle quando si alza la prima onda – senti che pettorali, le aveva detto una sera, muscoli tesi, smorfia da scimmia, quattordici anni e negli occhi lo scintillio nuovo del ragazzo che prende posto nel proprio corpo, senti che pettorali, ma’ -; la fusione diastolica quando il suo sguardo capta Juliette alla fermata d’autobus su boulevard Maritime, maxi T-shirt, Dr. Martens e impermeabile rosso, l’album da disegno infilato sotto il braccio; l’apnea tra la plastica da imballaggio la sera di Natale, il surf scartato nel bel mezzo dell’hangar gelido, aperto con quel misto di meticolosità e di foga con cui si apre la busta di un messaggio d’amore. Il cuore insomma.
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Simon Limbres ha 19 anni quando insieme a due amici decide di svegliarsi all’alba per andare a surfare, ché il tempo è perfetto proprio in quel posto e proprio a quell’ora. Ma sulla strada del ritorno la macchina guidata dal suo amico ha un incidente che lo scaraventa fuori dal finestrino: arriva in ospedale in coma, sono le macchine a tenerlo in vita. Le sue condizioni peggiorano sempre più e c’è solo una cosa da fare: guardare avanti, pensare al dopo. Seppellire i morti e riparare i viventi: salutare Simon, lasciarlo andare, ma solo dopo aver donato i suoi organi a chi ancora non è stato scaraventato fuori dalla vita, ma vive nel tempo vuoto e teso dell’attesa, al confine tra ciò che è vita e ciò che è sopravvivenza.
Non riesco a non dire subito cosa penso di Riparare i viventi: è semplicemente meraviglioso, il più bel romanzo in assoluto fra le novità che ho letto ultimamente. Lo penso non solo per la storia che racconta, quanto mai delicata e attuale, ma per il modo totalmente privo di sentimentalismi, eppure non freddo, né distaccato, con cui la voce narrante, esterna ai fatti eppure a suo modo empatica, rende il lettore partecipe di questa vicenda dal punto di vista di tutti coloro che ne vengono coinvolti. Simon, ovviamente, ma anche i suoi genitori, a cominciare dalla madre:
Quello che vuole è un luogo dove attendere, un luogo dove far passare il tempo che manca…Creare illusioni, sottrarsi alla violenza… un giorno dovrà capire in quale direzione scorre il tempo, se è lineare oppure traccia i cerchi rapidi di un hula hoop, se forma degli anelli, si avvolge come la nervatura di una conchiglia, se può prendere la forma di quel tubo che ripiega l’onda, aspira il mare e l’universo intero nel suo rovescio scuro, sì, dovrà capire di cosa è fatto il tempo che passa.
Per arrivare a suo padre e alla sua sorella:
… basta fare piano e rimanere in silenzio per sentire i loro cuori pompare insieme la vita che resta.
Le persone che hanno a che fare con lui in ospedale – l’infermiera, che proprio quella sera è reduce da una notte di follie con l’uomo di cui si è pericolosamente innamorata e ancora in preda all’eccitazione quando si trova davanti Simon -, il medico che si occupa di attivare la procedura per il trapianto degli organi, le équipe dei vari reparti e delle varie città coinvolte nell’operazione di espianto, l’infermiere che segue tutto il processo dall’inizio, da quando bisogna affrontare l’argomento con i familiari, fino alla fine:
Thomas resiste in silenzio contrastando lo sfinimento generale, o la fretta di chiudere, non lascia niente: questa fase del prelievo, il restauro del corpo del donatore, non può essere banalizzata, è una riparazione; adesso bisogna riparare, riparare i danni. Rimettere quel che è stato donato come è stato donato. Altrimenti, è la barbarie.
Coloro che ricevono gli organi, ritratti nella loro condizione allucinante di non poter gioire di quello che sta finalmente per succedere – l’organo che è arrivato, l’attesa che volge al termine – perché la loro rinascita non può che venire da una nuova morte:
…lei non ha paura dell’intervento. Non è questo. Quel che la tormenta, è l’idea di quel cuore nuovo, che qualcuno sia morto oggi perché tutto questo succeda, che possa invaderla e trasformarla… Se è un dono, è comunque di un genere speciale, pensa. In quell’operazione non c’è donatore, nessuno ha avuto l’intenzione di fare un dono, e allo stesso modo non c’è beneficiario, poiché lei non è nella condizione di rifiutare l’organo, deve accettarlo se vuole sopravvivere, allora, che cos’è?
La donazione degli organi, da un certo punto di vista, ha molto più a che fare con chi li dona che con chi li riceve. Significa, soprattutto quando non c’è un testamento specifico al riguardo ma in realtà sempre, anche quando avviene per mancanza di esplicita volontà contraria – per legge – interrogarsi su un’esistenza che non è quella propria, fare come avrebbe fatto lui/lei. E’ una responsabilità enorme, ci vuole una profondità d’animo ed una sensibilità fuori dal comune per accettare la morte e accogliere la vita che verrà, quella propria e quella di persone sconosciute che solo con la perdita di qualcun altro possono avere una seconda possibilità.
Quello che c’è scritto in questo libro vale come giudizio del libro stesso: neutre, informative, le parole sono macigni. Ma è proprio perché sono così, perché pesano così tanto, che la cosa da fare è soltanto una:
Bisogna pensare ai vivi… bisogna pensare a quelli che restano… Seppellire i morti e riparare i viventi.
18 Maggio 2015 at 20:09
Dopo la tua bella recensione penso che l’ordinerò su Amazon.Grazie