
Prima classe – Michel Déon
Farà bene ad abituarsi, caro amico. È la nuova generazione prodotta dal nostro continente. Sono giovani, sono belli e sono ricchi. Nessuno più chiede loro da dove vengano, se i loro antenati fossero a bordo del Mayflower. Quella bionda, Elizabeth Murphy, appartiene alla quarta generazione di irlandesi. I primi che sono arrivati, morti di fame e divorati dai parassiti, sono andati a stendere le rotaie nel Far West trattati non meglio dei coolie cinesi, morendo per le febbri, ma i figli dei sopravvissuti andavano a scuola e, una volta adulti, si arruolavano nella cavalleria per fare a pezzi gli indiani. Alla terza generazione entravano in una banca o in politica e facevano già parte della nuova aristocrazia americana. Legga Henry James e Scott Fitzgerald, hanno raccontato tutto del loro snobismo e dei loro soldi. Elizabeth Murphy, per quanto nuoti nell’oro, non è affatto snob… Elizabeth è un vulcano. Per quanto si vesta come uno scaricatore di porto e si tagli i capelli alla maschietta nessuno ci casca: è una principessa. Imparerà presto una cosa: da noi il denaro è la santità… Non è mai volgare parlarne, dichiarare il costo della propria casa, della macchina, dei gioielli della moglie. Sì, è la santità…
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Pasqua è appena passata e confesso che se avessi potuto scegliere non avrei avuto dubbi su dove trascorrerla: negli Stati Uniti, probabilmente a New York, il primo approdo verso cui è diretto Arthur Morgan, giovane di belle speranze che da Parigi ha vinto una borsa di studio per una prestigiosa università di Boston, biglietto d’accesso per entrare nella cerchia di quelli che contano. Ed è durante la traversata a bordo della Queen Mary che Michel Déon, prolifico autore francese scomparso nel 2016 di cui Edizioni e/o, dopo Pony selvaggi, porta in Italia La cour des grandes nella traduzione di Alberto Bracci Testasecca, ci fa incontrare il suo protagonista e una serie di persone influenti che segneranno il suo cammino. La madre di Arthur, infatti, non si è limitata a fare il possibile per gli studi del suo unico figlio, ma ha dato fondo a tutti i suoi averi per farlo viaggiare in prima classe – da qui il titolo del romanzo in italiano – consapevole di quello che tutti i genitori del mondo sanno: l’educazione e le possibilità di farcela nella vita dipendono solo per metà dalle proprie origini, il resto lo fanno amici e conoscenti. Ma se la la vita professionale di Arthur si rivelerà all’altezza delle aspettative di sua madre, di tutt’altro tenore sarà la sua vita sentimentale, che per vent’anni oscillerà tra l’amicizia per Elizabeth, giovane americana anticonformista e di larghe vedute, e l’amore per Augusta, una brasiliana bella e affascinante – e qui ci fidiamo delle impressioni di Arthur, perché in realtà non sappiamo molto di come è fatta – succube di un fratello nullafacente, giocatore d’azzardo e oltremodo smanioso di ricchezza. Prima classe è un romanzo che con leggerezza fotografa un momento storico preciso – gli anni Cinquanta, il maccartismo, i primi passi della beat generation – e il suo grande punto di forza sono, a mio parere, i dialoghi: brillanti, reali e con un ritmo che rende la lettura di Déon un’esperienza estremamente piacevole. Non mi sorprende affatto che questo autore sia osannato nientemeno che da Emmanuel Carrère, il quale non fa mistero di tornare di tanto in tanto alle pagine di Déon pur di ritrovarne la voce. Menzione speciale anche alla capacità di Déon di mettersi nella testa delle due donne protagoniste: non solo di dar loro la voce, quanto proprio di pensare come loro, l’una moderna ed emancipata ma sotto sotto sensibile e romantica, e l’altra frivola e sfuggente, ma anche profondamente fragile. A voi scoprire chi è chi in questo romanzo che sarà una piacevolissima traversata sull’oceano e su uno spaccato di vita di non molto tempo fa.
“Mi piacerebbe conoscere degli americani” disse Arthur.
“Eh, caro mio, per questo deve uscire da New York. Qui è l’anticamera. Guardi sulla mappa quant’è stretta Manhattan. Tutto è spaventosamente compresso tra i due bracci dell’Hudson. Una volta fuori si rende conto che gli Stati Uniti cominciano al di là di New York e che sono molto poco popolati, diversamente da quanto si crede…”