
Prevenire è meglio che curare
A volte basta poco per risvegliare i ricordi. Per pensare a pezzi di vita dimenticata, a momenti che un odore, un oggetto o una canzone hanno la capacità di farti rivivere come fosse ieri.
E’ quello che mi è successo guardando un film alla TV: una canzone di Luca Carboni e mi sono rivista indietro nel tempo, sul finire delle elementari. Adoravo Luca Carboni, era il mio preferito in assoluto. Tutti i primi amori, a cominciare da lui che è stato uno dei più duraturi fra quelli platonici, sono stati accompagnati dalle sue canzoni, che mettevo a palla nello stereo di camera mia. Erano gli anni in cui lottavo per vedere alla TV Beverly Hills 90210 (“è pieno di pomiciate e non è adatto a te”), I Simpson (“è pieno di parolacce ed è diseducativo”) e soprattutto leggere l’opuscolo sull’AIDS che davano in regalo con Lupo Alberto, il mio fumetto preferito dell’epoca. Era successo un bordello per quel libercolo: la Iervolino, allora Ministro della Pubblica Istruzione, lo aveva bandito dalle scuole (“è diseducativo”). A ridaje. Io mi ero impuntata che lo volevo leggere a tutti i costi, perché come sempre la marmellata non piace a nessuno, finché non te la nascondono. E così sventolavo fiera il mio opuscolo sul sesso interpretato da Enrico La Talpa e Cesira La Cuoca. Peccato che mio padre fosse più rompipalle della Iervolino e così, per partito preso, me lo sequestrò. Mai errore fu più fatale: misi a soqquadro il suo studio pur di trovarlo. E lo trovai. A quel punto, ebbi la pensata di andare ad evangelizzare il vicinato, istruendo tutti su come evitare l’AIDS (cosa fondamentale da sapere per chi, come me, aveva 10 anni). Fu così che mi trovai a dover spiegare al mio amichetto dell’infanzia come nascevano i bambini.
“Ma cosa dici, ma che schifo, i miei genitori non farebbero mai certe cose”, la sua reazione.
Ora, che noi siamo nati per divisione cellulare e che i genitori non abbiano MAI avuto una vita sessuale è cosa nota a tutti, che tutti pensiamo e che ci fa piacere pensare dal primo all’ultimo giorno di vita sulla Terra. Però non avere proprio un’idea di come nascono i figli (degli altri) mi sembrava veramente un sacrilegio e così svuotai il sacco. Me poor.
La madre del mio amichetto telefonò a casa mia: “Anna Maria, senti, Radiolina ha spiegato a M. come nascono i bambini. Solo che sai, M. ancora certe cose non le sa ed è turbato”.
“Sono mortificata, ma non capisco proprio perché mia figlia si sia permessa di affrontare un discorso del genere”.
“M. mi ha parlato di un fumetto dove c’erano scritte certe cose e Radiolina gli ha spiegato quello che non gli era chiaro”.
“Ti chiedo scusa, sono in imbarazzo. Adesso me la vedo io con mia figlia”.
Per l’occasione, a casa mia si riunì il Consiglio dei Savi di Sion: mamma e papà più agguerriti che mai.
“Radiolinaaaaaa… vieni immediatamente qui. Come ti è saltato in mente di spiegare a M. come nascono i bambini?”.
“Ma mamma poverino, credeva che nascessero sotto i cavoli. L’ho fatto per lui”.
“Ma dico, sei impazzita? Ma che figure mi fai fare? Io ti considero una bambina matura e ti dico certe cose per responsabilizzarti. Non certo per andare dal vicinato a raccontare come nascono i bambini”.
“Ma c’è anche scritto nel libro di scienze. E poi ho dovuto dirlo perché lui diceva che gli faceva schifo e io ho sottolineato che invece è una cosa molto bella, come mi hai detto tu”.
“Cooosa? Aaaarggggggh… ci mancava solo questa, ma cosa penseranno adesso? Io ti ho detto che è una cosa bella tra persone adulte e che si vogliono bene, per farti capire che i figli nascono per un atto d’amore”.
E fu allora che si inserì mio padre, verde come l’Incredibile Hulk.
“Questa è colpa tua Anna Maria, che con questa bambina ci parli pure troppo”.
“Bambina lo dici a qualcun altro. Io sono una donna. Ti ricordo che ho già 10 anni”.
Se ci penso, mi faccio paura da sola. Ero una bambina terribile. Piccola peste mi faceva un baffo.
“Ma la senti? E hai pure preso il fumetto che ti avevo sequestrato. Come ti sei permessa?”.
“Come ti sei permesso tu di RUBARMELO. L’hai letto almeno? Non c’è scritto nulla di male, serve per la PREVENZIONE e non è giusto che tu me l’abbia portato via”.
Uno, due, tre. Sapevo che stava per pronunciare quella frase maledetta.
“Sai cosa ti dico Radiolina? Sei PU-NI-TA. Hai capito? PU-NI-TA. Per una settimana non metti naso fuori di casa e guai a te se ti rivedo con quell’opuscolo. Dammelo immediatamente”.
Triste e sconsolata, trascorsi una settimana in camera a imprecare contro i miei e contro quell’ingrato di M., che anziché ringraziarmi mi aveva sputtanato nella peggiore delle maniere.
Se non altro avevo vinto la censura e letto il famigerato libercolo prima che finisse al rogo. Chissà se esiste ancora. Quasi quasi, la prossima volta che torno a casa mi metto a cercarlo. Insieme ai cd di Luca Carboni, grazie al quale mi è venuta in mente questa storia.