
Preludio a un bacio
A volte, quando leggo un libro e ancora non sono arrivata alla fine, mi capita di chiedermi come lo definirei, se dovessi usare una parola soltanto. Quasi sempre la risposta che parte in automatico fra me e me è del tipo che non si può fare, che è troppo difficile. Eppure ci sono dei casi – rari, ma ci sono – in cui già dopo i primi capitoli so perfettamente qual è l’aggettivo giusto per quel libro.
Preludio a un bacio, l’ultimo romanzo di Tony Laudadio pubblicato lo scorso marzo da NN editore, rientra pienamente in questa categoria. Per me non c’è alcun dubbio: questo libro è dolce. Non dovete pensare però a una dolcezza tipo quella del cioccolato al latte – non così dolce -, piuttosto a quella della cheesecake, dove c’è una punta di aspro così ben mitigata dai biscotti sbriciolati e dalla consistenza cremosa del formaggio, da essere, almeno per me, il paradigma della dolcezza che non stufa. Lasciando da parte i fornelli, questo romanzo è dolce perché dolce è la trama – un uomo che per le vicissitudini della vita si ritrova a fare il musicista di strada -, perché lo è il protagonista – un uomo che ancora rimpiange il grande amore dei suoi anni migliori e che, con grande discrezione, cerca di avere un contatto con quella figlia che nemmeno sa della sua esistenza – e infine perché, anche se so che non si dovrebbe mai confondere l’identità dell’autore con quella dei suoi personaggi, io ci scommetto che a essere dolce è pure Tony Laudadio, ché altrimenti un libro così non sarebbe stato capace di scriverlo.
La trama, per quanto originale, è tutt’altro che inverosimile – quante persone ci sono che, pur partendo da una vita “normale”, si ritrovano a tirare a campare come meglio possono?
Chissà, forse in gioventù avevo del talento. L’ho anche coltivato, mi ci sono speso e illuso, ma alla fine l’ho dissipato brutalmente. Del resto, cos’altro puoi fare della giovinezza, se non dissiparla? È l’unica risorsa dell’esistenza che non si può conservare in attesa di tempi migliori. E poi? Cos’è rimasto? Lo strumento, più che lo strumentista. Solo le cose restano, mai le persone, per questo compriamo i souvenir.
Le coincidenze che segnano questa storia sono tutte così ben misurate, che il patto col lettore non vacilla e la sua sospensione del giudizio non viene mai meno: la storia di Emanuele, di quest’uomo che poteva essere un jazzista famoso e che invece è “solo” uno che racimola per strada qualche euro da spendere al bar più vicino, in fondo è simile a tante. Meno comune è che nel cartoncino nel quale solitamente si legge la richiesta di elemosina, Emanuele scriva ogni giorno una massima che lo rappresenta e in cui i passanti si riconoscono. O che, a un certo punto, dopo avere rischiato la pelle, decida di saldare i debiti, materiali e morali, che ha accumulato negli anni.
Quanti conti ho in sospeso? Quanti ne abbiamo tutti? Come venature nel marmo percorrono la nostra esistenza, ne sono parte integrante e pesano sulla bilancia dei nostri meriti. Il dare e l’avere, ciò che ho potuto fare grazie a ciò che ho ricevuto, ciò che sono stato grazie agli altri.
A sostenerlo sua figlia, Maria, che lo aiuta a ricominciare offrendogli vitto e alloggio e fin qui niente di male, a parte che lo considera come il suo fidanzato e lui deve sottrarsi come può. Ce la farà senza dire una parola di troppo? La verità verrà a galla? E per una volta, una volta soltanto, possiamo goderci il lieto fine? Per scoprirlo bisogna arrivare proprio all’ultima pagina e non sarò certo io ad anticiparvi nulla. Però non riesco a fare a meno di pensare che malgrado tutti i suoi stravolgimenti, o forse proprio per questo, la vita è sempre quella cosa per cui ne vale la pena.
Funziona così: entro in una libreria qualsiasi, prendo un libro a caso, leggo la prima frase che mi balza agli occhi e su quella costruisco tutto il mio futuro prossimo, come fosse una predizione. In fondo non è molto diverso da un oroscopo. Mi piace farlo ogni giorno e quasi sempre ciò che leggo prevede quel che mi accade dopo.