
Non fate caso a lui
Lo vedo dal vetro della mia carrozza. Si dimena come un ossesso. Guardo meglio. Agita una maraca e suona un’armonica. Soffia con tutta l’aria che ha nei polmoni, lo vedo da come gonfia le guance, dallo sforzo che ha dipinto sugli occhi. Emette un suono potente che io non posso sentire. In testa una cuffia di lana colorata, sulle spalle uno zaino di cui a fatica regge il peso. E’ vecchio, ha la schiena ricurva. Sul suo volto una stanchezza atavica, di chi si trascina da tanto tempo. Scende alla mia stessa fermata. Mi fermo perché mi passi avanti. Ma quando mi volto non c’è. E’ andato chissà dove, e’ come svanito. Eppure l’ho visto che è sceso con me, ne sono sicura. “Solo un fantasma, ecco cos’era”, penso.
E forse questo vecchio gobbo, che alle nove di sera ancora si agita sulla metro nella speranza che qualcuno gli tenda una moneta, pensa proprio questo quando la notte trova riparo sotto un porticato, addosso una coperta sudicia: che non importa se anche questa giornata e’ andata così, se nel suo bicchiere di cartone ci sono solo pochi spicci. A un fantasma, per vivere, basta un’armonica, e una maraca.