
Nel giardino delle scrittrici nude – Piersandro Pallavicini
Ho esordito a trentotto anni nel novantacinque con Bompiani sull’onda lunga di Gioventù cannibale, il romanzo s’intitolava Il pane e la morte, sul “Corriere” mi hanno salutata come un’esordiente da tenere d’occhio, su “Tutto libri” Angelo Guglielmi mi ha definita “una nuova Silva Ballestra (sebbene attempata e ancora in parte balbuziente), e ho venduto duemilanovecento copie. Dopo Il pane e la morte, ogni due o tre anni è arrivato regolare il mio nuovo contributo: ancora con Bompiani, oppure Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, mai un editore piccolo, mei neppure un medio, un Effetto Notte o uno Schiaparelli, che ne so, oppure un Minimum fax, no, mai. Eppure niente, sono una beata signora nessuno. Mai un passaggio a La Lettura del Tg5 o da Marzullo in Rai, figurarsi da Bignardi o Fazio, ma mai nemmeno un invito a un festival che conta- Mantova, Pordenone – o anche solo mai una sala bella piena in libreria… Ma chi se ne frega di Marzullo o dei festival, non me ne importa nulla: io ho sempre voluto i premi.
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Non è per la gloria, figuriamoci, i premi non li conosce nessuno, ridicoli quelli che li elencano come medaglie nella quarta di copertina, non è neanche l’indotto di copie aggiuntive vendute, quelle arrivano con lo Strega e nemmeno basta essere in cinquina, bisogna vincerlo. I premi significano soldi gratis… Qualcosa che ripaghi l’immane sforzo compiuto ogni giorno per anni, questo vorresti, vorremmo tutti. Cioè soldi, esatto, agio di scialacquare migliaia di euro senza pensieri come vorrebbe chiunque, le impiegate di banca, gli imprenditori, le maestre d’asilo, i panettieri, le commesse del supermercato, perché mai chi scrive dovrebbe essere diverso, forse perché saremmo artisti? E lo siamo, per carità, certo che lo siamo, ma gli artisti spendono come tutti, il piacere che discende dai beni materiali ci appaga come succede a chicchessia. E per un premio non occorre un minuto in più di fatica, oltre a quella immane che hai già fatto per scrivere il tuo libro, è la gratificazione perfetta…
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Che con la scrittura difficilmente si facciano i miliardi è cosa nota. Altrettanto noto è che per gli scrittori niente è più gratificante di ricevere un premio, somma ricompensa delle proprie fatiche, sia come soddisfazione personale che materiale.
Piersandro Pallavicini nel suo ultimo romanzo, Nel giardino delle scrittrici nude, edito da Feltrinelli, ha pensato a un premio che coniugasse prestigio e gratificazione economica ad altissimi livelli: la protagonista del suo romanzo, Sara Brivio, autrice semisconosciuta, separata dal marito e madre di una figlia che ha tagliato i ponti con lei per motivi bizzarri che verranno fuori pian piano, dopo avere ereditato dal padre una rendita spropositata ha comprato una villa con giardino nel cuore di Milano. Qui vive con due amiche, anche loro scrittrici, che approfittando del fatto che nessuno può vederle trascorrono le giornate rigorosamente nude a prendere il sole e a dedicarsi a lettura e scrittura. Quale atto di maggiore libertà, per di più nel centro di Milano? Non solo, ma Sara ha istituito un premio letterario di cui nessuno sa che lei è fautrice, con lo scopo di rivalutare opere di autori che non sono mai state premiate prima e che sono passate inosservate, ma che a suo parere meritano una seconda chance, nonché un lauto premio di cinquecentomila euro. A decretare il vincitore del premio, neanche a dirlo, non è una giuria popolare, come Sara fa credere, bensì le tre amiche, che per la seconda edizione decidono di fare concorrenza nientemeno che allo Strega, fissando la data di assegnazione del Premio Brivio nello stesso giorno. A sfidarsi saranno Daniele Castagnèr, uno scrittore da quattro soldi che in realtà vende moltissimo e che arriva a rifiutare la candidatura allo Strega, ammaliato dalla prospettiva di vincere cinquecentomila euro, Giorgio Breno, l’ex marito pallone gonfiato di Sara, che non vale una cicca eppure crede di essere un genio incompreso della letteratura, e infine un’autrice misteriosa la cui identità si scoprirà alla fine.
Come avrete già intuito, Piersandro Pallavicini si è inventato una storia intrisa di ironia dalla prima all’ultima pagina, che con grande intelligenza mette in piazza gli aspetti più ridicoli del mondo letterario, dalla prosopopea degli scrittori alle modalità di assegnazione dei premi letterari. Quello che non potete immaginare è che questa storia è anche scritta in modo superbo, che i personaggi sono delle macchiette uniche – fra tutti ho adorato Daniele Castagnèr e il suo modo di parlare improbabile – e che leggere queste pagine significa regalarsi qualche ora di puro piacere. E se ve lo dico io che leggo e amo puntualmente libri dolorosi e fortemente introspettivi, potete fidarvi: questo libro, che ne abbiate sentito parlare o meno, è una chicca che non dovreste perdervi, un romanzo che fa star bene.
“Piacere, Daniele Castagnèr, scrittore.”
“La conosco,” sussurra la mia amica, mentre El Panteròn le tiene la mano nella sua e la guata, prima con gli occhi negli occhi, poi lasciando scendere spudoratamente lo sguardo fin sui peli pubici fulvi, strabordanti oltre il libro di Fanny. La mia amica arrossisce.
“Sa,” flauteggia, “scrivo anch’io.”
…
“Siamo colleghi allora, la mia bella signora tuttanuda. E come la si chiama? Che magari ho letto qualcosolina di suo.”
“Fanny,” sussurra lei, la mano ancora trattenuta da quella del Panteròn. “Fanny Moschino.”
“Eh ma sì, la Moschino, certo che la conossi bèn! dice El Panteròn, liberandole finalmente l’arto per allargare le braccia in segno di giubilo. “È la bella signora uscita con Mondadori e la Bompiani, con dei romanzini ben preziosi. La banda dei krapfen e Zie che ammazzano cugini, digo bèn?”
“Racconti. Il club delle brioche e Zie contro nipoti,” risponde lei, abbassando lo sguardo.
“Krapfen, brioche, le chiedo scusa, ma son tutte cosettine dolci come l’è dolce lei, Fanny.”