
Momenti di trascurabile felicità
Arriva un momento, quando non aggiorni il tuo blog da mesi e mesi, in cui ti viene un irrefrenabile desiderio di farlo. Sarà la primavera, sarà quel che sarà, ma è da tempo che ho voglia di scrivere e questo sole, unito all’aria tiepida che si respira a Milano in questi giorni, mi fa pensare che le giornate siano lunghissime e che ci sia tempo per fare un sacco di cose. Anche per riprendere a scrivere le cavolate che mi succedono.
Un giorno qualunque di settembre, sono tornata in ufficio dalla pausa pranzo e sulla mia scrivania ho trovato un libro: “Momenti di trascurabile felicità”. Un regalo tanto più apprezzato quanto più inaspettato, un libro bellissimo in cui l’autore inizia ad elencare tutte quelle piccole cose che ci rendono felici, che ci strappano un sorriso, anche solo per un attimo.
Entro in un negozio di scarpe, perché ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46.
Lei torna e dice: mi dispiace, non abbiamo il suo numero.
Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41.
E mi guarda, in silenzio, perché vuole una risposta.
E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41.
Il giorno in cui sta per scattare l’ora legale, o solare. Perché non si capisce mai se questa volta scatta l’ora solare al posto della legale, o quella legale al posto della solare.
(A proposito: stanotte abbiamo spostato le lancette avanti di un’ora… ma l’ora adesso è legale o solare?)
Soffiare su un pezzo di pane caduto a terra e poi mangiarlo come se fosse stato ripulito.
…
Ho provato anch’io a fare questo esercizio ripetutamente, negli ultimi tempi. A chiedermi quali sono le piccole cose, stupidaggini in apparenza, che in realtà mi piacciono da morire e che mi mettono il buonumore. Ecco un elenco, sempre in fase di aggiornamento:
Quando escono in edicola le mie riviste preferite, la cura con cui scelgo quelle con la copertina gualcita e il profumo della carta appena stampata. Le conservo in borsa, sempre dentro un sacchetto di plastica, la sera sul divano le tiro fuori come se si trattasse di un manoscritto introvabile, e mi metto a leggerle.
L’odore dell’erba bagnata in primavera, e quello dei pini, che mi fa sempre pensare all’estate e alla Sardegna.
Quando una signora anziana, curata e sorridente, si mette a chiacchierare con me, e io penso che mi ricorda le mie nonne, e un po’ le voglio bene. E quando poi mi dice “E’ stato un piacere parlare con lei, signorina”, e io lo so che per lei è stato un piacere veramente.
Quando i bambini fanno sotterrare dalla vergogna i genitori, e io non riesco proprio a non ridere e a non schierarmi dalla loro parte. Ero in aeroporto prima delle vacanze di Natale, in fila alla consegna bagagli, quando arriva una squadra di giocatori di qualcosa, credo basket. Un giovane padre dice alla figlia, nanetta di non più di tre anni: “Vedi Giulia, loro hanno mangiato tanto, tanto e sono diventati grandissimi”.
E lei, senza fare una piega, punta il dito contro il più basso della squadra (che era basso sul serio), e chiede a voce alta: “E quello perché è così? Non ha mangiato niente?”.
La faccia del padre mortificato e io piegata in due dalle risate che non so dove girarmi.
Quando salgo sui mezzi pubblici e mi incanto a guardare i modi improbabili in cui la gente si concia, cammina, mastica la gomma, parla al telefono.
Quando vado in ristorante, a volte faccio un gioco. E’ una cretinata, ma mi diverte moltissimo. Prendo di mira chi c’è seduto nel tavolo a fianco, preferibilmente una coppia, e racconto a chi mi sta davanti la storia della vita di questi sconosciuti, inventandomela di sana pianta, ma come se fosse vera. Chissà se ogni tanto ci becco. Una volta durante una vacanza ho avuto l’impressione di sì.
Quando il giovedì esce l’oroscopo di Internazionale e nella stanza in cui lavoro c’è sempre qualcuno che dice “E’ uscito, è uscito”.
Quando se ne va una persona cara, all’inizio non sento niente, penso che dovrei stare male, ma niente, poi inizio a dispiacermi. Passa il tempo e a volte riesco a pensare alla fortuna che ho avuto ad incontrarla nel mio cammino, piuttosto che a perderla, e allora mi sento bene, mi sento speciale e fortunata.
Quando compro un libro, inizio a leggerlo e mi piace. O quando mi accorgo che non mi piace, e a un certo punto dico “Sai che c’è? Io non ti leggo più”, e mi metto a leggerne un altro.
Quando sento un profumo addosso a una persona e indovino qual è. Lo faccio sempre, è più forte di me. E se davvero riesco a indovinarlo, gongolo tutta soddisfatta.
Quando mangio sushi, non so perché, ma dopo sono sempre un po’ su di giri.
Quando vado ad una mostra da sola, riesco a concentrarmi totalmente su quello che sto osservando e poi esco che mi sembra di sapere un sacco di cose che prima non sapevo. E poi me le dimentico.
Quando sto morendo di sete e fa caldo, e in frigo c’è della birra ghiacciata.
Quando vedo una persona che cade e mi spertico dalle risate. E quando cado io, o quando rischio di cadere, specialmente in estate e con le zeppe, mi si gira la caviglia e mi assale una vampata di calore per la figura di merda che sto per fare e che non voglio fare. E poi mi guardo tutta intorno facendo la vaga, sperando che non se ne sia accorto nessuno.
L’elenco potrebbe essere infinito, perché le cose che mi piacciono sono tantissime. Anche quelle che non mi piacciono, ovvio, ma per quanto anche io sia diventata un po’ cinica e il cinismo sia fra le tendenze primavera/estate, preferisco continuare a vedere il bicchiere mezzo pieno.
Mi piacerebbe che… in questo momento qualcuno stesse dicendo: però com’è bello vivere qui. Anche tra sé e sé.
Quest’ultima cosa piacerebbe a Francesco Piccolo, l’autore del libro. Ecco, nonostante tutto io me lo ripeto spesso: “com’è bello vivere qui”.