
L’Italia spensierata
Domenica in
Nella sostanza, quelli che si occupano di televisione si occupano di cose che non amano per davvero – se ne stanno lì e anche se sono a due metri non le guardano, non gli interessa. Perché scrivono cose che loro stessi non guarderebbero, e non guardano quando vanno a casa e accendono il televisore. È un problema serio: cosa può funzionare veramente, cosa può essere bello veramente, se fatto da persone che se dovessero scegliere non farebbero quello che fanno, e quando possono scegiere – quando sono spettatori – non scelgono quello che fanno?
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La prima canzone che cantano i Pooh – o meglio, uno di loro – è Tanta voglia di lei… La cantiamo tutti in coro, come se fosse una splendida canzone d’amore e nell’immaginario collettivo è sempre passata così, ma in effetti quest’uomo… si scopa una e poi, poco dopo, a un tratto, sente il senso di colpa, a un tratto, e non può fare a meno di confessarle che ha tanta voglia di un’altra – che poi è la sua vera donna. Quella che si è appena scopato non dice una parola, tanto che uno sulle prime pensa che stia dormendo, e invece sta mordendo le lenzuola in silenzio e lui sa che non perdonerà. Ma non può farci niente: si è reso conto all’improvviso che il suo posto non è qua, è là, e nella mente c’è tanta, tanta voglia di lei. Ora, nessuno può avere nulla in contrario sul fatto che lui senta che il suo posto è là e non è qua. È legittimo. Però, secondo me, una cosa del genere si dovrebbe sentire prima di scopare, non appena dopo. Il senso di colpa – perché di questo si tratta – o gli viene prima, oppure se lo può pure trattenere un po’. No, invece accade esattamente il contrario: prima non dice niente, anzi non avrà probabilmente neanche detto di avere qualcuno che lo aspetta, per carità, e se ha detto qualcosa saranno state parole gentili, seducenti e romantiche. Poi, d’un tratto, dopo, subito dopo, d’un tratto, sa che deve lasciarla e che il suo posto è da un’altra parte. Lo sa con certezza assoluta. E non solo. Ma deve pure andare via subito, perché il suo amore si potrebbe svegliare e chi la scalderà, che non è una cosa molto carina da dire a qualcuno con cui hai appena – appena! – scopato. Ma non può farci nulla: nella sua mente c’è tanta, tanta voglia di lei.
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Autogrill
Il problema in autogrill è l’istituzionalizzazione della mancia. Quando vai a fare pipì, la signora non sta lì per te, non sta pulendo il bagno per te e nemmeno per tutti gli altri – lo ha già fatto o lo farà più tardi… In teoria, per paradosso, chi pulisce i bagni e chi ha il piattino davanti potrebbero anche essere due persone diverse. Perché lei, ora, è lì come un casellante dell’autostrada o un doganiere, ti ferma e ti dice grazie, e poiché siamo nella Comunità europea tu potresti anche varcare la frontiera senza mostrare il documento, ma se te lo chiedono, tu lo mostri. E così è qui. Quindi, il dubbio che suscita la signora, mai del tutto dissipato, è che lei non è pagata da nessun altro che da noi. Eppure ha un camice dell’autogrill, ha orari da autogrill, com’è possibile che non venga pagata? Se è pagata, com’è molto più probabile, per pulire i bagni, perché ognuno di noi che fa pipì sente una soggezione psicologica e sente di doverle lasciare una moneta per ringraziarla della pipì fatta in un luogo decente? E come succede sempre in questi casi, sia che lasci la mancia sia che non la lasci, ti rimane il dubbio di aver fatto la cosa giusta. Certo, uno può comunque dire che lasciare una moneta è sempre la cosa giusta, e infatti è quello che spesso faccio io quando vado a fare la pipì in autogrill. Ma se devo dire che il fatto che ci sia una lì seduta che mi dice grazie come per dire: <<Se non mi lasci la moneta sei un uomo di merda>>, ecco, non è che mi piaccia tantissimo. La soggezione psicologica che provoca non vorrei provarla mai, tantomeno nei bagni degli autogrill.
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Cinepanettone
Del resto, in Natale a Miami le questioni fondamentali sono scopare, avere i soldi, divertirsi, mettere le corna. Tutto questo ruota intorno a una sola ossessione, a una sola finalità: le donne, in particolare le donne nude, anzi, più in particolare e più esattamente, la fica… Poi mi viene in mente un settimanale che negli anni Novanta divenne il simbolo del popolo colto e ironico e intelligente di questo paese. Io e tutte le persone che frequentavo lo compravamo con devozione religiosa. Si chiamava <<Cuore>>. <<Cuore>> aveva nella sua ultima pagina una specie di concorso per i suoi lettori colti, ironici e intelligenti, dal titolo Il Giudizio Universale, che chiedeva di indicare le cose per cui vale la pena vivere. Divenne una rubrica molto famosa e molto citata. Al primo posto di quella classifica, praticamente dal primo all’ultimo giorno, c’era la fica. E ho paura che se quella domanda la facessero a me e mi chiedessero di rispondere sinceramente, ma davvero sinceramente, anch’io direi <<la fica>>. Quindi.
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Mirabilandia
E mi sono ricordato all’improvviso, come se l’avessi rimosso in tutti questi anni, che io ho sempre avuto così paura sulle <<attrazioni>> al luna park. Mi sono ricordato di quando andavo a Edenlandia a Napoli con gli amici o al Luneur a Roma. Mi sono ricordato di quando sono stato sulla mia prima e ultima montagna russa; mi sono ricordato di quando sono andato per la prima e ultima volta su una di quelle navi che cominciano a ondeggiare prima piano e poi sempre di più fino ad andare in alto, molto in alto, da una parte e dall’altra, di come ho pianto senza ritegno urlando basta e pregando Dio, la Madonna, Gesù e tutti quanti… Mi sono ricordato che ho paura. Anche gli altri hanno paura, ma è questo che a loro piace. A me no… Io sono abbastanza sicuro che questa sensazione di dover morire in modo orribile entro venti secondi, che provo io, è la sensazione che prova ogni altro essere umano che sulle montagne russe pensa adesso il trenino non riesce a fare la curva perché va troppo veloce e andrà dritto nel vuoto e noi ci schianteremo al suolo da un’altezza impressionante a una velocità impressionante.
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Notte bianca
Chi se l’aspettava che, nella sostanza, la notte bianca diventasse subito eccessiva, sfinente, per molti versi insopportabile. Chi se l’aspettava una parabola così veloce per cui una concezione come la notte bianca fosse prima una cosa impensabile, poi una specie di sogno impossibile, poi una cosa realizzabile, dopo ancora realizzata e riuscitissima, e alla fine anche difficile da tollerare. Chi se l’aspettava che già un gran numero di persone se ne scappa da Roma o si chiude in casa come se ci fosse la calata dei barbari.
Ho scoperto Francesco Piccolo a settembre del 2013 e nel giro di un anno ho consumato con avidità le pagine di tutti i libri che ha scritto. Mi mancava solo questo e quando l’ho visto in libreria non ho nemmeno letto la quarta di copertina: l’ho preso e basta, perché tanto lo sapevo che andavo sul sicuro. Ormai so che se c’è per me qualcuno che ha qualcosa da dire e che sa come farlo, quello è sicuramente Francesco Piccolo. Ne L’Italia spensierata, questo formidabile genio della letteratura e della vita, passa in rassegna una serie di situazioni, da lui vissute in prima persona, che rientrano pienamente nelle cose che gli italiani fanno per svagarsi: dall’esperienza di prendere parte al pubblico di un programma televisivo, alla tappa obbligata in Autogrill il giorno delle vacanze, dal film Boldi-De Sica il giorno di Natale (anche se ora che i due si sono divisi c’è stata prima la fase della doppietta – un cinepanettone per ciascuno – e poi dell’assenza – li rimpiangiamo? Ai posteri l’ardua sentenza), ai figli che si portano al parco divertimenti, fino all’invenzione della Notte Bianca. Devo dire che per tutta la lettura non ho fatto altro che pensare “E’ vero, ma quanto ha ragione, anche io sono così!” e ridere veramente di gusto. Perché questo libro è davvero da aggiungere alle cose che un italiano medio e di buon senso dovrebbe prendere in considerazione per svagarsi. La bravura di Piccolo è quella di sapere fondere a puntino forma e sostanza, tanto che leggerlo è sempre un’esperienza che ti arricchisce, in qualche modo.
Oltre al fatto che sono morta dalle risate per la versione in prosa della canzone dei Pooh e che quando mi capiterà di sentirla non riuscirò mai più ad essere seria, mi sono completamente identificata nello stato d’animo dell’autore a Mirabilandia: io non provo alcun tipo di piacere per tutto ciò che significa cuore in gola, altezze, vertigini, brividi e quant’altro. Paradossalmente mi dimostro più coraggiosa in situazioni veramente più critiche, ma a me questo senso di morte imminente dei luna park crea uno stress indicibile e le poche volte che sono salita su una montagna russa mi sono letteralmente violentata, con la promessa solenne a me stessa che non lo avrei fatto mai più.
I soldi nel bagno dell’autogrill sono poi un po’ come quelli che ti chiede il parcheggiatore abusivo, che sia extracomunitario o meno poco importa: un po’ ti fa incazzare, anche perché magari per quel parcheggio devi pagare il tagliandino, ma poi pensi anche che si tratta di povera gente – e anche che la fame incattivisce e ti potresti trovare la macchina rigata – e quindi un po’ per un motivo e un po’ per un altro alla fine cedi e sganci.
Non parliamo poi della Notte Bianca, per di più a Roma – ero lì l’anno del blackout – e di come, pressoché ovunque, pur riconoscendo che sia una bella iniziativa, ne rimango tendenzialmente lontana. E anche se non sono mai stata nel pubblico di Domenica in, parecchi anni fa ho assistito al Festivalbar e ricordo perfettamente come io e le mie amiche fossimo letteralmente indignate per il fatto di dover applaudire a comando all’arrivo della Marcuzzi e della Hunziker, manco si trattasse della Madonna.
Tirando le somme, se volete farvi due risate e annuire ogni tre per due, questo è il libro giusto. E, per ulteriori momenti di spensieratezza, aggiungo che non mi dispiacerebbe affatto un uomo col cervello di Francesco Piccolo dentro il corpo di Ben Affleck 😉