
L’atlante dell’Invisibile
Vuoi farmi un piacere? Butta via tutto. Butta via tutto quello che hai visto, lavatelo dagli occhi, piangi se ti serve farlo. Ma il gigante no, il gigante tienilo. E sai perché?… perché è invisibile. Tu hai visto l’invisibile. Io non lo so più fare, nessuno di noi sa farlo. Ma tu non smettere mai. Non mollare un attimo di vedere l’invisibile. E così avevo iniziato a vedere l’invisibile. E a scrivermelo tutto, sull’Atlante, per non perderlo mai.
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È l’estate del 1989 quando Dino, Sofia e Ismaele assistono alla scomparsa del paese in cui vivono, un anfratto della Val di Non che sta per essere spazzato via da una diga artificiale. Hanno trascorso tanti anni insieme a giocare in quei prati e la sera prima che l’acqua sommerga ogni cosa rubano la luna e la nascondono nel quaderno nel quale annotano minuziosamente tutto quello che solo loro sono capaci di vedere: l’Atlante dell’Invisibile.
E lo sapevamo che l’estate del 1989 sarebbe stata in realtà l’ultima, che l’autunno avrebbe visto alzarsi le acque anche qui, sul paese di Santa Giustina, che il lago che aveva preso la valle quando erano piccoli i nostri padri ora avrebbe sommerso tutto quello che non aveva sommerso la prima volta. Perché gli accordi erano quelli. E li conoscevamo bene, gli accordi. Eppure noi ci sentivamo al sicuro. Perché avevamo un prato. E poi perché avevamo lui: l’Atlante dell’Invisibile. E con lui, noi, non avremmo perso nulla.
Loro non lo sanno, ma la minaccia della diga, in quel momento ormai una certezza, incombe sulla terra che li ha visti crescere dal 1946, l’anno in cui Elio e Teresa si sono incontrati. Lui costruisce mappamondi immaginari mettendo le cose dove gli piacerebbe che fossero, lei li corregge perché non importa ciò che è meglio, ma ciò che è giusto.
Ecco come avrebbe fatto a girare il mondo in bicicletta: avrebbe fatto come Dio. Di notte pedalando come un pazzo? No! Costruendo mondi. Li avrebbe costruiti lui, e poi li avrebbe girati: trasformando le salite in discese, i mari in monti, gli arrivi in partenze, avrebbe messo tutto quanto sottosopra… E così era successo. Elio si era messo a costruire mappamondi. Mappamondi giusti? Mappamondi precisi? Mappamondi copie di una realtà esistente? No: mappamondi suoi. Non faceva mappamondi: a dire il vero, li inventava.
Cosa c’entrano queste due storie parallele? A parte l’ovvia considerazione che sia Dino che Elio sono due formidabili sognatori separati solo dall’età, succederà un fatto singolare che farà incontrare i loro mondi, quello dei ragazzini e quello degli anziani, altrimenti destinati ad andare ciascuno per la propria strada come due parallele.
Chi ha letto Resto qui, romanzo meraviglioso di Marco Balzano arrivato in finale al Premio Strega, penserà forse che lo scenario di questa storia sia simile. In realtà, a parte il fatto di una diga che sommerge un paese – e si parla comunque di posti diversi – L’Atlante dell’Invisibile, secondo romanzo di Alessandro Barbaglia pubblicato da Mondadori, non potrebbe essere più diverso. Barbaglia, di professione libraio – ma vi assicuro dopo averlo sentito parlare che dovrebbe fare il cantastorie per quanto è incantevole ascoltarlo – ha ricostruito il mondo della tarda infanzia, intrecciando la vicenda di tre ragazzini colti nel momento in cui ancora sono capaci di vedere al di là di ciò che è visibile, con quella di una coppia di anziani che, malgrado l’età, questa capacità l’ha perlopiù conservata – nonostante Teresa sia il contraltare razionale di Elio.
La cosa che più colpisce di questo romanzo è il linguaggio poetico con cui l’autore ci racconta questo mondo, facendoci immergere non tanto nelle profondità della diga, quanto nella fantasia dell’infanzia – e, chissà, magari scopriremo anche della senilità. L’Atlante dell’Invisibile non è una favola, ma non è nemmeno un romanzo per adulti nel senso tradizionale, non segna dei confini netti tra realtà e fantasia e l’impressione che ho avuto sentendo parlare l’autore è che lui stesso sia proprio così, a metà strada fra una persona reale e un personaggio delle favole. Niente di strano per uno che, questo è certo, sa ancora vedere le cose che non si vedono.
…le cose infinite non finiscono, svaniscono magari, ma non possono finire. E se diventano invisibili, basta chiudere gli occhi e le ritrovi tutte lì. Le cose infinite continuano, in tutte le cose invisibili di cui siamo parte.