
Italiani di domani
I nuovi arrivati – infanzia felice anni Ottanta, adolescenza serena anni Novanta – non se l’aspettavano, questo scherzo.
Se questo libro fosse un romanzo, potrebbe iniziare così. E se fosse un’opera di fantasia, potrebbe raccontare, per esempio, di una famiglia molto ricca, magari sudamericana, che si trasferisce in una sfarzosissima villa e che la trova infestata dai fantasmi. “I Gonzalez non se l’aspettavano, questo scherzetto”.
A parte che potreste obiettare che sembra una rivisitazione del film The hours, questo non è un romanzo, né un’opera di fantasia. I protagonisti di questa vicenda, infatti, hanno cognomi italiani, vivono nel nostro paese e il tetto che hanno sopra la testa, in case più o meno grandi e più o meno belle, ma probabilmente più dignitose che sfarzose, lo devono ai propri genitori disposti a ospitare, nutrire e vestire ancora, dopo trent’anni, quelli che un tempo furono degli adolescenti di belle speranze.
Si tratta di noi, insomma, della generazione di cui faccio parte, di quella che ha avuto, grazie a o per colpa di genitori amorevoli e che si sarebbero fatti in quattro (e spesso lo hanno fatto) per accontentarci, una vita in discesa e che ora, ahimè, se la trovano in salita. Intendiamoci, parlo di noi ragazzi fortunati di oggi, perché non dimentichiamoci che ci sono giovani che oltre a non avere un lavoro o una casa propria, non hanno neanche un granché da mettere sotto i denti. Per non parlare dei meno giovani che versano nella stessa situazione, e ai quali, forse, non resta nemmeno la speranza. In questo quadro desolante che e’, purtroppo, la realtà dei nostri giorni, Severgnini ci dice però una cosa importante, anzi ce ne dice molte.
Ad esempio, che lamentarsi di continuo non serve a niente, se non a gettarci nell’autocommiserazione; che cercare il nostro talento è, prima di tutto, una questione di buon senso; che, per paradosso, ora sono i padri che cercano di spronare i figli ad andare fuori, se non riescono a trovare la propria strada vicino a casa, e che siamo noi, invece, che ci ostiniamo a restare; ci dice che dobbiamo sforzarci di vedere i cambiamenti come un’opportunità e non come una fonte d’ansia (Jack Welch direbbe “change before you have to”) e che l’Italia non cambierà finché noi, italiani di domani, non andremo dai nostri genitori e dai nostri datori di lavoro a dire, se è il caso, “così non si fa”.
Questo libro, che racconta “questo tempo sbandato” con l’ironia e l’acume che rendono Severgnini uno scrittore eccezionale, ha la capacita’ di infondere non solo speranza, ma anche coraggio. E parla sia alla nostra generazione, quella dei trentenni che tra sorrisi e lacrime non si arrendono e credono ancora che sia possibile fare la propria parte in un mondo migliore, che a quella dei nostri genitori, a volte preoccupati che non ce la faremo mai.
Se poi aggiungiamo che per due volte viene nominata la Sardegna, non posso non consigliarvi di leggerlo. Perché, credetemi, si arriva davvero all’ultima pagina un po’ più ricchi di prima.