
Intervista col vampiro – Mathias Malzieu edition
Tempo di Libri, la prima fiera del libro milanese in stile Torino è iniziato da poco, quando incontro Mathias Malzieu, autore di Vampiro in pigiama, per un aperitivo in Duomo. L’aria è fresca e il cielo striato di rosa sulla terrazza della Rinascente, dove mi accoglie il suo viso sorridente, incorniciato da un cappello delizioso, nero con un cuore rosso a lato che sembra essere stato posato lì da Cupido. Sono un po’ tesa, soprattutto perché ormai da diversi anni non ho occasione di parlare in francese, eppure Mathias mi mette subito a mio agio e cominciamo a chiacchierare come se già ci conoscessimo da tempo.
Mathias, mi sono preparata un po’ di domande. La prima forse è banale e di sicuro personale: come stai?
Sto molto bene, grazie. Ho un sistema immunitario di due anni e mezzo, ho cambiato gruppo sanguigno, le mie analisi sono buone – vado in ospedale una volta ogni mese, ogni mese e mezzo circa. Poco a poco sto riacquistando una vita normale: ho scritto un libro, inciso un album e sto scrivendo un altro libro e preparando un altro album. Sto davvero riprendendo la vita che avevo prima.
Come è stato scrivere “Vampiro in pigiama” mentre non stavi bene? Avevi un obiettivo altruistico, volevi dare speranza a coloro che stessero attraversando delle difficoltà simili alle tue? Oppure è stato più che altro uno sfogo e il tentativo di liberarti di qualcosa che avevi dentro?
Mentre lo scrivevo non avevo un’idea precisa, l’ho buttato giù come una sorta di ginnastica. Come se fossi un maratoneta che si allenava, ho allenato la mia immaginazione tutti i giorni perché soltanto in questo modo ero libero. Raccontavo la realtà, perché si tratta di un diario, ma allo stesso tempo cercavo di mettere una distanza poetizzando le cose. Ma senza un piano preciso: un giorno scrivevo tre pagine, un altro tre righe. Avrei preferito fare altro: viaggi, film, libri, dischi, bambini, piuttosto che dipendere dalle trasfusioni. Ma è stata un’avventura straordinaria. Non è un libro su una malattia, è un libro su una rinascita. È un libro che parla di una lotta, di resilienza.
Tu hai un modo molto particolare di raccontare per immagini, sembra quasi di leggere un disegno. Da dove viene questo stile? Che cosa leggi, di che cosa si nutre la tua creatività?
È un insieme di cose. C’è un’aspirazione allo straordinario, ho sempre bisogno di qualcosa di straordinario. È il punto di vista che hai sulle cose che le rende straordinarie. Ho letto un libro di samurai, Hagakure, che dice che bisogna trattare con molta leggerezza le cose serie e con molta serietà i dettagli. Ho fatto mio questo principio: sorridere davanti alle cose gravi e focalizzarmi davanti ai dettagli, come si fa al cinema. Ad esempio, potrei soffermarmi sul fatto che hai ordinato un succo d’arancia che è proprio dello stesso colore del tuo smalto. Si può fare della poesia con questi dettagli. Non credo al talento e all’ispirazione divina, credo che tutto dipenda dalla volontà di trovare la magia racchiusa nelle cose semplici.
Tornando alla tua domanda, tra gli italiani un autore che adoro è Italo Calvino, “Marcovaldo” è uno dei miei libri preferiti. Mi piacciono le persone che si divertono con la lingua, anche quando parlano di cose serie. Un esempio è “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer, che parla della shoah ma lo fa in un modo straordinario e ti diverte, nonostante l’argomento sia assolutamente serio. O “La vita è bella” di Roberto Benigni, che per lo stesso motivo è uno dei miei film preferiti. La scena in cui fa una falsa traduzione delle regole del campo di concentramento per suo figlio, è semplicemente straordinaria. È questa la poesia che cerco.
Un’altra questione che affronti nel libro è quella del valore dell’amicizia: quando si sta male, capita che persone che reputavi amiche ti deludano e al contrario persone dalle quali non ti aspetteresti niente ti stupiscano positivamente. Mi ha molto colpito che nelle tue pagine non ci sia mai un tono polemico o rancoroso.
Devo ammettere che in alcuni passaggi inizialmente sono stato più duro. Ero arrabbiato, ma poi mi sono reso conto che questo mio stato d’animo non aggiungeva niente al libro. Non volevo che “Vampiro in pigiama” diventasse un regolamento di conti, volevo davvero parlare di cose positive. Non sono più forte, né migliore degli altri. Ho sofferto, ma anche cercato di soffermarmi su altre cose.
E invece il tuo prossimo libro? Puoi anticipare qualcosa?
È la storia di un autista di Tuc Tuc, le piccole automobiline indiane o tailandesi che portano i turisti in giro, che lavora a Parigi e lungo la Senna trova un po’ di tutto – aspirapolveri, TV abbandonate, e cose così – fino a imbattersi in una sirena. Il cuore di quest’uomo è congelato, non prova più niente da quando la sua donna lo ha lasciato, ma dovrà ricredersi: con questa sirena il suo cuore riprenderà a battere. Il problema è che più i due si innamorano, più si mettono in pericolo, perché chi si innamora di questa sirena rischia di morire in breve tempo e lei per respirare deve essere ributtata in acqua… Sto scrivendo il libro, le canzoni e il film.
A questo proposito, che cosa preferisci scrivere: libri, canzoni o sceneggiature? O è la stessa cosa?
No, non è affatto la stessa cosa. I tempi sono completamente diversi. Amo il momento in cui mi trovo a scrivere sulla mia sedia a forma di uovo, la notte, senza rumore, davanti al mio computer. Cantare invece è più fisico e mi piace anche mettere in scena le mie storie. Sono momenti diversi, è come se mi chiedessi se preferisco la pasta o la pizza: dipende dal momento.
A proposito di momenti è passata un’ora, tra un bicchiere di vino e un succo d’arancia, ed è tempo di salutarsi. Ho l’impressione che Mathias si diverta molto a fare quello che fa, più in generale a vivere, e ritrovo nella persona che ho davanti la sensazione che ho provato leggendo il suo ultimo libro. Quella di avere incrociato, anche se solo per il tempo di quattro chiacchiere, un uomo speciale: solare, simpatico, estremamente alla mano. Mi resta solo una curiosità: leggere il suo prossimo romanzo.

“Essendo prigioniero del mio stesso corpo, devo imparare più che mai a evadere con la mente. Organizzare la resistenza mobilitando le risorse dell’immaginazione. Lavorerò duro sul sogno di cavarmela. Mi servirà una volontà di ferro battuto… Dosare la speranza giorno dopo giorno. Staccare la luna ogni mattina e rimetterla a posto all’imbrunire. Un vero impegno da neovampiro.” Con la sua tipica scrittura che parla per immagini, Mathias Malzieu racconta della propria malattia e di come l’attaccamento alla vita, oltre all’impegno dei medici e all’amore di familiari e amici, gli abbiano permesso di farcela. Non si tratta di un manuale di sopravvivenza pieno di consigli, ma di una vicenda del tutto personale in cui l’insegnamento, se lo si vuole trarre, è che a volte anche i momenti difficili e di cui faremmo volentieri a meno, possono rivelarsi illuminanti.