
Heidi
A Milano si lavora sempre. Un’assenza è giustificabile solo in caso di morte, e anche in quel caso è probabile che te la facciano pesare.
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A Milano la puntualità è tutto. Per strada c’è un orologio ogni cento metri. Che si tratti di un campanile, del display di una pensilina o di un quarzo luminoso su un cartello pubblicitario, non c’è modo di non sapere che ore sono. Qui il tempo è denaro, il denaro è vita e la vita è lavoro.
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Se c’è una cosa difficile quando si fa arte, in tutte le sue forme, è far ridere il proprio pubblico. Non è un mistero che, nonostante la vita sia una cosa molto buffa, a prenderla per il verso giusto, far scendere una lacrimuccia sia ben più facile che far esplodere la gente in una sonora risata. Questo vale per molti, ma sicuramente non per Francesco Muzzopappa, che con il suo ultimo romanzo – Heidi, uscito lo scorso giugno per Fazi Editore – mi ha divertito come pochi altri romanzi hanno fatto.
Il motivo è che Muzzopappa è una persona intelligente, che si prende poco sul serio, ed è quindi capace di guardare con ironia al mondo di cui lui stesso fa parte – è infatti un copywriter che lavora a Milano. Ci tengo a precisare che non lo conosco di persona e quindi il mio parere è puramente basato sulle sensazioni che ha suscitato in me la lettura di Heidi, e delle quali ho trovato conferma nell’intervista all’autore fatta da Elena Sassi – potete leggerla sulla pagina Facebook Sottolineando.
Ma veniamo al dunque: Heidi, all’anagrafe Chiara, è una ragazza che lavora a Milano per una casa di produzione specializzata in format televisivi trash – del tipo Malattie imbarazzanti & Co. Citando le parole del suo spregevole capo
È esattamente ciò che chiedono i telespettatori: talenti inconsueti, malattie, cucine, parrucchieri incapaci, disturbi psichiatrici… La gente vuole questo e noi glielo daremo, al massimo e con tutta la nostra competenza.
Come tutti i lavoratori milanesi, e in particolare quelli che reggono i destini dell’universo mediatico, è sottoposta a ritmi di lavoro estenuanti e a un carico di stress da novanta:
Purtroppo a Milano uscire alle sei di sera viene considerata una malattia incurabile. Solo gli sfaticati lavorano otto ore. L’ideale di vita è arrivare morti alla pensione o spirare durante una riunione. In alcuni uffici ti fanno addirittura correre sulla ruota.
Come se non bastasse, suo padre soffre di Alzheimer ed è convinto che quella che è, in realtà, sua figlia, sia la Heidi dei cartoni animati. Come fare quindi a tenere in piedi la propria vita, conciliando tutto, magari anche l’amore, che se arrivasse non guasterebbe di certo?
I riferimenti alla società in cui viviamo si sprecano: non solo gli eccessi dei ritmi di lavoro milanesi, ma anche l’esibizionismo dei tempi moderni, il bisogno spasmodico di rendere pubbliche situazioni o comportamenti che sarebbe ben più dignitoso mantenere privati, il problema dell’assistenza ai genitori anziani da parte dei figli, con quello che costano le diverse forme di assistenza in rapporto agli stipendi medi.
Hedi è una lettura che merita tantissimo, un libro da regalare e da regalarsi – e lo dico io che, come chi mi conosce sa bene, sono una fan dei romanzi dolorosi e che fanno contorcere lo stomaco. Questo romanzo è proprio l’eccezione che conferma la regola, perché mi ha fatto ridere di gusto, mettendomi in faccia senza tanti giri di parole il mondo del lavoro da “milanese imbruttito” di cui anche io faccio parte: le dodici ore al giorno passate in ufficio, ché altrimenti ti sembra di avere lavorato mezza giornata; l’uso di inglesisimi massiccio e ingiustificato, che però fa figo e guai a dire “telefonata” al posto di conference call o “in automatico” anziché di default; per non parlare degli intercalari spropositati per introdurre episodi assolutamente comuni – tu non puoi capire è “la maionese dei discorsi”, per citare testualmente; i diminutivi utilizzati per qualunque cosa – il vinello, il salamino, il paninetto, e così via. Sarà che vivo nella stessa città della protagonista, ma ho trovato Heidi veramente geniale e credo che anche i non milanesi, di nascita o di adozione, godranno moltissimo a leggerlo. E poi ha un finale bellissimo, profondo e leggero allo stesso tempo, e una nota nei riferimenti bibliografici che ci ricorda in poche righe a cosa serve il lavoro – e che tutti noi che abbiamo la fortuna di averne uno, a Milano o altrove, faremmo bene a ricordare. Bravo, Muzzopappa. Anzi, per rimanere in tema, chapeau! 😉
Mi raccomando le lacrime. Voglio veder piangere molta gente, mamme in totale indigenza, uomini senz’amore, ragazzi problematici, impiegati nevrastenici. I telespettatori devono avere l’impressione di essere migliori di loro.
In realtà gli operai della Diesel non se la passano così male.
Mi stai dicendo che non sei in grado di raccontare la storia da un altro punto di vista?
Non è esattamente un altro punto di vista. Dovremmo mostrare il falso…
Ed è un problema? Va contro la tua etica?
Assolutamente no. Cercherò di fare del mio meglio.
Non devi cercarlo. Devi farlo.
Non c’è problema. Raccoglieremo il peggio.
3 Settembre 2018 at 7:39
Grazie mille, Francesca! Tu non puoi capire quanto mi hai fatto felice. Proprio non puoi capire.
3 Settembre 2018 at 22:05
Francesco, sono io che ti ringrazio! Non è facile fare ridere le persone e leggere Heidi è puro divertimento. Peraltro senza dover mettere il cervello a riposo, il che non gusta.😊
1 Novembre 2018 at 11:39
Come sono felice di avere una book consultant a portata di mano!!! Parto da Heidi, che dici?
😘😘😘
13 Novembre 2018 at 7:46
Ottima scelta! 🙂 <3