
Essere una macchina – il saggio letterario di Mark O’Connell ai confini della realtà
Mi sembra ieri quando, in seconda o terza media, un mio compagno all’interrogazione di scienze ripeteva “Il cervello umano è come un computer” e la Prof., inorridita, lo correggeva: “Casomai è il computer a essere come un cervello umano”. Questo siparietto di molti anni fa mi è venuto in mente sin dalle prime pagine di Essere una macchina, saggio letterario di Mark O’Connell la cui uscita nel catalogo Adelphi è prevista per il prossimo 18 settembre, e in cui la posizione dominante è esattamente opposta a quella della mia Prof. di scienze.
Difficile non partire dalla premessa che si tratta di un testo straordinario sotto tutti i punti di vista: l’argomento che tratta – il transumanesimo – e una scrittura così limpida e avvincente che perfino di fronte a un tema di indubbia complessità come questo, ci si ritrova in men che non si dica all’ultima pagina.
Ma partiamo dalle basi: voi sapete cosa sia il transumanesimo? Io l’ho scoperto a pagina quattordici del libro:
… un movimento detto “transumanesimo”, fondato sulla certezza che l’evoluzione futura della specie possa e debba essere guidata dalla tecnologia. Secondo loro, la morte per vecchiaia è una malattia debellabile, mentre la tecnologia può aiutarci a potenziare il corpo e la mente, a fonderci con le macchine, insomma a ridisegnarci a immagine e somiglianza dei nostri ideali più alti… il transumanesimo è un movimento di liberazione che rivendica nientemeno che una totale emancipazione dalla biologia.
Tradotto in parole povere, i transumanisti sono persone – fuori di testa, visionari, quello che volete, ma sospendiamo i giudizi almeno per un momento – che credono che la morte cui è soggetto l’essere umano sia, in definitiva, un errore di sistema, un’imperfezione superabile grazie ai progressi tecnologici. E non lo dicono così, tanto per dire, ma ci mettono la testa – anche in senso letterale, e se leggerete il libro capirete perché (!) – e anche molti soldi, perché questa fede nell’immortalità futura grazie alle macchine è cieca almeno quanto quella in Dio, per chi è credente. Il paradosso è che gli illustri esponenti di questa corrente che l’autore ha incontrato sono persone estremamente razionali, menti logico-matematiche oltremodo brillanti, che tuttavia rasentano la follia e l’irrazionalità totale nel momento in cui arrivano a credere in modo assoluto che si possa superare la morte attraverso le macchine.
Centinaia di persone tuttora viventi hanno preso accordi affinché i loro cadaveri vengano trasportati qui nel più breve tempo possibile dopo la certificazione della morte clinica, in modo da consentire l’esecuzione di certe procedure – tra cui, nella maggior parte dei casi, la separazione della testa dal corpo – per metterli in criosospensione finché la scienza non troverà il modo di riportarli alla vita.
Per i transumanisti, a ben guardare, quello che al momento è davvero rilevante è conservare il proprio patrimonio cerebrale per il giorno in cui la tecnologia sarà a uno stadio così avanzato da permettere il trasferimento della vita dell’uomo su un supporto – perché quel giorno arriverà, statene certi, dicono.
Ho chiesto all’autore, che sin dalle prime pagine dichiara di non aderire personalmente al transumanesimo, se ci sia stata una persona, fra quelle che ha incontrato, che lo abbia quasi convinto. “Convinto proprio no“, mi ha risposto, “ma indubbiamente ho trovato plausibile l’idea che ha Randal Koene dell’uploading della mente“. In effetti Randal Koene è fra tutti quello che dà – o perlomeno prova a dare – risposta a un quesito fondamentale: quello che viene trasferito su un supporto tecnologico è effettivamente quello specifico essere umano? In altre parole, siamo sicuri che le macchine del futuro, oltre a ospitare la nostra mente, conserveranno anche la nostra coscienza? E se questo non avvenisse, si chiede l’autore, ciò per cui si battono i transumanisti avrebbe ancora senso? Le risposte sono molteplici e sempre frutto di un’interpretazione che è anche soggettiva, ma vi assicuro che troverete abbondante materiale per farvi una vostra idea.
Per quanto mi riguarda, Essere una macchina mi ha portato a farmi una domanda su tutte: ma a me piacerebbe vivere per sempre? A essere sincera l’idea mi inquieta un po’, anche se ammetto che non sarebbe male se tutti avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo per fare tutte le cose che vorremmo fare – leggere tutti i libri che vorremmo leggere, tanto per dirne una. Sarebbe uno stravolgimento radicale della prospettiva dalla quale osserviamo il mondo, al punto che a me tutto questo sembra ancora fantascienza. E mi sento molto vicina a O’Connell, perché come lui chiedendomi cosa significhi essere una macchina ho finito per ritrovarmi ancora più confuso su cosa significhi essere umani.
Tutte le storie hanno inizio dalla nostra fine.