
Coraggio!
Immagina la voce calda del comandante che ti rassicura attraverso il microfono di bordo. Sei sospeso in cielo eppure ti fidi: di lui, di leggi della fisica che non conosci, perfino di te stesso in caso di necessità.
Immagina la voce soave di tua madre quando ha infine staccato le mani dalle tue spalle per sospingerti con delicatezza: a camminare, pedalare, pattinare.
L’anestesista subito dopo averti collegato al flusso del liquido che ti stordirà, prima di suggerirti il conto alla rovescia che non finirai.
La persona che più ti è vicina, esattamente nel momento in cui ne avrai bisogno, per sfiorarti il braccio e sussurrare quella parola.
Immaginala detta così, in modo non imperativo, né perentorio: una carezza d’ordine, un viatico per il futuro, il tuo vero passaporto per la vita. Per non sprecarla e non barattarla in cambio di niente. Per non cedere ai ricatti, di qualunque genere. Per essere la donna o l’uomo che in un pomeriggio disperso nell’infanzia, in un cortile senza voci, leggendo un fumetto, hai desiderato diventare, non sempre, ma quando avrebbe contato: aprire il portellone d’emergenza, cedere il posto nella scialuppa di salvataggio, alzare la testa. E, a tua volta, avvicinarti a qualcun altro e dirglielo, con la stessa voce che si tramanda e ci sostiene, anche adesso, così: coraggio!
Inizia così Coraggio!, un libro a metà tra saggio e racconto autobiografico scritto da Gabriele Romagnoli e pubblicato da Feltrinelli. La vita di una serie di persone, spesso dimenticate, che sono state coraggiose ciascuna a suo modo, è l’espediente per affrontare un tema che ci tocca tutti: chi di noi non si è sentito dire “coraggio!” dalla propria madre? Chi non ha pensato “che coraggio!” guardando un acrobata sul filo, oppure in senso sarcastico, magari sentendo parlare qualcuno che avrebbe fatto meglio a stare zitto, come a dire “ci vuole coraggio, parla proprio lui…”.
Quando ero bambina, i miei mi portarono in montagna per tre anni consecutivi. Mi dicevano: “Ti piacerebbe sciare?”. E io rispondevo “No, ho paura”. La loro insistenza non serviva a nulla: mi mancava quel coraggio, avevo paura di cadere, e così non misi mai ai piedi gli sci , se non quelli giocattolo. Un peccato, perché poi le lezioni dovetti prenderle da grande, facendo naturalmente molta più fatica.
Qualche mese fa mi sono svegliata di soprassalto, temendo che i ladri fossero entrati dalla vicina. Ho sbirciato dallo spioncino e, più addormentata che sveglia, ho pensato seriamente che stessero svaligiando l’appartamento di fronte al mio. C’erano tutti i segnali per capire che quella che vedevo era la figlia della mia dirimpettaia, ma ero poco lucida per rendermene conto. Sono rimasta paralizzata, incapace di qualsiasi azione. Avrei potuto aprire la porta, chiamare la polizia, far suonare l’allarme di casa mia per farli spaventare. Invece non ho fatto niente. Col cuore in gola, ho aspettato che se ne andassero, non sono riuscita a chiudere occhio, mi sono rigirata nel letto finché non si è fatta ora di alzarsi e solo a quel punto mi sono procurata il numero di telefono della vicina, per chiederle se fosse tutto a posto. “Scusa se ti abbiamo svegliato, siamo partite alle cinque”, mi ha risposto. Meglio così, ma resta il fatto che la sensazione di delusione nei confronti di me stessa e della mia mancanza di coraggio, mi è rimasta. Ha ragione Romagnoli quando scrive:
… io non so se sarei capace di entrare nel palazzo in fiamme… Credo che, prima del giorno del fuoco, occorra prepararsi, precostituirsi un percorso, curarsi un’identità che non deriva da un luogo di nascita, da una famiglia o da un distintivo, ma da una serie di scelte…
Forse, proprio per averci pensato e per essere rimasta male della mia stessa reazione, se dovesse succedere davvero chiamerei subito i carabinieri, o farei suonare l’allarme, proprio come a un certo punto mi sono decisa a mettere su gli sci. O forse no. L’unico modo per scoprirlo è trovarsi nella situazione e fare o non fare: solo a quel punto ti rendi conto se il coraggio ce l’hai oppure no.
A volte, il vero coraggio consiste nel fare una cosa “perché si deve fare”, perfino se si pensa che non sia la cosa giusta. È il caso del medico che salva la vita di un assassino pur pensando che non meriterebbe di vivere.
Altre volte avere coraggio significa non agire: ci vuole coraggio per salire in cima allo scoglio e tuffarsi, ma ce ne vuole altrettanto per decidere di non farlo mentre tutti sono lì a dirti “buttati, buttati”.
Ci vuole coraggio per dire “mi piacciono gli uomini e questa cosa non cambierà”, quando sei tu stesso un uomo e i tuoi genitori e i parenti e gli amici e tutti in paese si aspettano che ti sposerai e avrai dei figli.
Coraggio è quello della madre che dice al figlio“parti tu, io resto qui”, perché il viaggio della speranza è troppo caro per due.
Il coraggio del malato che ha capito che non c’è niente da fare e non chiede nulla al dottore.
Il coraggio di chi è consapevole dei propri limiti e non cerca di apparire migliore di quello che è.
Il coraggio di chi accetta il proprio destino, anche se è diverso da come lo aveva immaginato.
Mi ritrovo nelle parole di Romagnoli anche in questo:
Anche per non agire a volte serve coraggio.
18 Ottobre 2016 at 7:50
[…] nasconde tra le pagine del libro, potete leggere anche le recensioni di L’officina del libro, Francesca Coco e Leggere a colori o attendere la #graforecensione di Alberto […]