
Confessioni audaci di un ballerino di liscio
Non so voi, ma personalmente non conosco un granché del mondo delle scuole di ballo, delle balere, della danza. Eppure tutti i giorni, mentre vado al lavoro, passo davanti a un seminterrato dove fanno corsi di ballo. E proprio di fronte a uno dei miei ristoranti preferiti, lungo la Martesana, c’è una sala dove vedo persone che ballano in coppia. Se poi penso a tutte le volte che sono stata alla Balera dell’Ortica, incantata a guardare coppie di una certa età agili e aggraziate come non credo di essere mai stata, nemmeno a vent’anni, in effetti devo ammettere che pur non sapendo nulla di ballo, sono circondata da persone che ne sono appassionate. Non mi è quindi difficile immaginare il Sorriso Dancing Club gestito da Frank Saponara a Bottecchio sul Po e tutto quello che succede lì intorno. Perché la caratteristica di Confessioni audaci di un ballerino di liscio, è proprio questa: una storia semplice, raccontata così bene da risultare avvincente e da portarti a girare le pagine una dopo l’altra. Difficile darne una definizione: c’è un mistero legato ad una morte, ma non si tratta di un giallo; c’è il racconto di una serie di ricordi, eppure non è un romanzo nostalgico. È come se il protagonista ci aprisse le porte di casa sua e dicesse “Prego, accomodatevi che vi faccio vedere quello che è successo”. E anche se non so spiegarvi bene il perché, tra le righe di questo romanzo trovo un senso di serenità e di allegria diffusa che mi farebbe venire voglia di incontrarlo personalmente, questo Frank Saponara, e di intervistarlo sul divano di casa sua per farmi raccontare ancora più dettagli su questa festa che ha organizzato per i cinquant’anni della balera fondata da suo padre. È proprio questa ricorrenza il pretesto attraverso il quale la voce narrante ci racconta la sua vita e quella delle persone che ha incrociato lungo il proprio cammino: da Vladimiro Emerenzin, famoso per le sue pietre del buon consiglio oltre che per la sua passione per l’alcol, a Kristelle, “bella ma incapace nel ballo al pari di un lavandino di madreperla con lo scarico intasato”, passando per Gli Abramo’s, orchestra di liscio che ha contribuito al successo della balera, fino ad arrivare alla Beltra, addetta al guardaroba della balera e custode di non pochi segreti. I personaggi sono tanti e non voglio farne una carrellata, anche perché non riuscirei a rendere giustizia alle caratteristiche di ognuno, ma davvero la sensazione è quella di uno spaccato della vita di questo paesino e di questo microcosmo del mondo del liscio che non può lasciare indifferenti.
Paola, come ti è venuto in mente di raccontare proprio il mondo del liscio e delle balere? Tu personalmente le frequenti?
Già da parecchi anni avevo il desiderio di raccontare le balere. Le ho frequentate in Brianza, dove sono cresciuta, tra i 19 e i 21 anni. Ci andavo con un gruppo di amici della mia età e ricordo quel periodo come uno dei più allegri della mia vita. Le balere non erano ambienti “da vecchi” ma spazi di incontro, dove la musica aveva il ruolo importante di farti entrare in un abbraccio e di educarti alla giusta distanza. Dopo i 21 anni mi sono trasferita a Torino e non ho più trovato lo stesso tipo di “clima giovane”. Ho lasciato il liscio ma ho conservato l’idea di raccontarlo.
Bottecchio sul Po sembra introvabile perfino su Google, che ti suggerisce “Bottecchi sul Po” – introvabile poi a sua volta. Perdona l’ignoranza, ma è un posto che esiste realmente o un luogo di fantasia? Sei legata a questo paesino per un motivo particolare? Reale o immaginario che sia, che cosa rappresenta per te?
Bottecchio sul Po non c’è ma potrebbe esistere, come tutti i luoghi dei miei libri. Prima di scrivere il romanzo ho studiato il Polesine dal punto di vista storico e geografico, ci sono stata per un paio di volte e ho ascoltato i racconti dei suoi abitanti. Bottecchio sul Po è il risultato immaginario di un lavoro concreto che unisce tante suggestioni. Non si trova su Google Maps, è vero, ma per me rappresenta un impasto di ingredienti che danno come risultato un luogo possibile, vicino al delta del Po.
La voce narrante che accompagna il lettore è quella di Frank Saponara. Da donna, com’è scrivere calandosi nei panni di un uomo?
È stato molto divertente! A volte mi confrontavo con il mio compagno o gli amici. Chiedevo: “Se tu fossi in questa situazione, come ti comporteresti?”, oppure “Qual è la cosa che più ti piace o più ti spaventa in quest’altra situazione?”, e così via. Devo dire che, guardando il mondo attraverso gli occhi di Frank, dalla mia penna sono usciti soprattutto ritratti di donne e un’idea dell’amore non come approdo ma come processo continuo e senza età.
Ancilla, la Beltra, Kristelle… le donne che compaiono fra le pagine sono, almeno in parte, piuttosto disinibite o comunque “goderecce”, se così possiamo definirle, e in questo senso le ho trovate molto moderne. Ce n’è una fra tutte che ti piace più delle altre, con la quale ti sembra di avere più punti in comune?
C’è un personaggio minore che ho particolarmente nel cuore: è la Brigida, la prostituta della statale Romea che ha un rapporto privilegiato con un amico di Frank, l’Emerenzin, ubriacone e poeta di paese. La Brigida indossa un vestito color salmone che non sta con la carnagione e ha una faccia da ooooh. Per l’Emerenzin l’ooooh è tutta una vocale che porta “con sé un giorno nuovo e le piccole gioie necessarie alla sopravvivenza”. Con la Brigida ho in comune la capacità di provare meraviglia. Anche io, come lei, sono un’entusiasta della piccola poesia che c’è in ogni essere umano.
Nella tua biografia ho letto che sei una psicologa, ma anche un’appassionata di teatro, che sei stata un’assistente alla regia e che sei una scrittrice, naturalmente. Citando una frase che mi è piaciuta particolarmente, “Tutti abbiamo un odore che racconta chi siamo diventati e chi vorremmo essere”, qual è l’odore che racconta chi sei?
È un odore di viaggio, di vestiti arrotolati a caso dentro i bagagli, di asciugamani umidi, di calzini usati al diritto e al rovescio, di scarpe da ginnastica con le suole consumate. Non so dirti se il risultato sia piacevole, di certo è vivo e cambia a ogni viaggio. Viaggiare, per me, è andare verso l’ignoto con la consapevolezza di avere tanto da imparare. È il mio odore e, insieme, il mio nutrimento.
Arrivata alla fine di questo romanzo non posso certo dire di saperne di più sul liscio, ma sicuramente ho in testa la fotografia di un mondo che prima ignoravo quasi del tutto e che mi fa molta simpatia. E sono consapevole di una cosa che, pur nella mia ignoranza in materia di ballo ho sempre pensato, anche se non l’ho mai espressa in questi termini:
Ciò che distingue un buon ballerino da un pessimo ballerino, una buona dama da una pessima dama, un felice da un infelice, è sempre e solo l’entusiasmo. Senza entusiasmo non si può vivere alla grande. Figuriamoci ballare.

“Ivana era stata la mia prima ballerina di liscio e il mio primo odore di donna, quello che di tanto in tanto torna nell’aria a ricordarmi che i ricordi sono desideri che cambiano forma mentre si avvicinano.”