
Clessidra: Dani Shapiro fa i conti col tempo che passa
Tenere un diario è una cosa piuttosto comune, o perlomeno lo era negli anni Ottanta e di sicuro anche prima. Personalmente ricordo perfettamente la copertina del quaderno nel quale ho annotato con minuzia di particolari, per almeno dai nove agli undici anni, tutto quello che mi succedeva. So anche dove si trova, quel quaderno, e qualche anno fa l’ho aperto a caso per vedere quali fossero le avventure e i tormenti di una ragazzina che non era più una bambina ma nemmeno un’adolescente. Mi ha fatto sorridere in certe parti, soprattutto quelle in cui dicevo che il basket – presto rinnegato per le uscite in prima serata il sabato sera – era la mia vita, ma devo dire che mi sono molto ritrovata nella me di allora, nonostante siano passati più di vent’anni. Detto questo, me ne guarderei bene dal pensare, anche solo lontanamente, di riordinare quegli scritti e di provare a pubblicarli: sono ben contenta che facciano parte della mia vita privata e li custodisco gelosamente come il ricordo di un tempo che fu.
Ben diversa è la scelta che ha fatto Dani Shapiro, autrice americana famosa per avere scritto già diversi memoir prima del suo ultimo, Clessidra, tradotto da Gaja Cenciarelli e pubblicato in Italia da Edizioni Clichy. In questo volumetto di 150 pagine, la Shapiro, rispolvera una parte dei suoi diari contro ogni iniziale previsione – Non credo che la giovane donna che li ha scritti abbia qualcosa da insegnarmi. Che ne sa lei? Non ha vissuto la mia vita – e affronta tre grandi temi della propria vita: il matrimonio, in particolare l’ultimo – è stata infatti sposata due volte prima di incontrare l’uomo “giusto”; la maternità, incluso il dramma della diagnosi della malattia del suo bambino; e il mestiere di scrittore, con tutte le difficoltà, al di là delle gioie, che porta con sé.
La scelta di rispolverare vecchi ricordi non è certamente immune da rischi e la Shapiro, citando la Didion, dimostra di esserne consapevole:
Credo sia giusto tenersi educatamente a distanza dalle persone che eravamo, scrisse Joan Didion nel suo saggio On Keeping a Notebook, che la loro compagnia ci sembri piacevole o meno. Altrimenti rischiano di farsi vive senza preavviso, cogliendoci di sorpresa, bussando con insistenza alla porta della mente alle quattro del mattino dopo una nottataccia, pretendendo di sapere chi le ha abbandonate, chi le ha tradite, e chi farà ammenda. Dimentichiamo troppo in fretta le cose che pensavamo di non poter mai dimenticare.
Come non ritrovarsi in queste parole? Eppure la Shapiro decide di correre il rischio e pagina dopo pagina snocciola, assieme ai ricordi, una serie di riflessioni che sono tanto semplici da risultare universali e suscitare un senso di empatia che è poi, a mio avviso, il motivo principale per il quale un lettore si avvicina al genere del memoir. Quello che si evince, sintetizzando al massimo le parole dell’autrice, è che niente – né la vita coniugale, né la maternità, né la scrittura come scelta di vita – è facile. Spesso si è assaliti da dubbi su tutti i fronti, dall’incertezza perfino su come fare a pagare le bollette, eppure si va avanti, senza melodrammi, né tantomeno quel fastidioso ottimismo ostentato di chi vuole raccontarsi a tutti i costi il lieto fine.
A ben guardare, qui non c’è davvero una fine e questo memoir non rappresenta un bilancio definitivo, da una parte perché la Shapiro ha cinquantadue anni e voglio sperare che abbia ancora tanto tempo per vivere e scrivere, dall’altra perché, in fondo, ogni bilancio non può che essere provvisorio, quando si tratta di analizzare la propria vita e cercare di dare un senso alle cose. Quelle che sono accadute per davvero, e quelle che abbiamo soltanto immaginato.
La mia mente è già un caleidoscopio. Gli anni svaniscono. I mesi crollano. Il tempo è come un edificio alto fatto di carte da gioco…Dalla radio arriva una canzone e all’improvviso ecco che mio figlio si addormenta mentre lo sto allattando il dolce peso del suo corpicino tra le mie braccia. Sono a una festa affollata vicino a Gramercy Park, e guardo suo padre negli occhi per la prima volta… Gioco con i miei nipoti in una casa in montagna. Squilla il telefono. Il campanello della porta. Un tonfo al cuore, capisco che è successo qualcosa di terribile. L’aereo, la macchina, il treno, la bomba… Siamo due senzatetto. Viviamo a Covent Garden, spesso andiamo a teatro. Scegliete una carta. Una qualsiasi.